Allergie sempre più in aumento e specialisti allergologi in diminuzione. Sembra un paradosso, ma è la triste realtà. È quello che denuncia l’Associazione allergologi immunologi territoriali e ospedalieri (AAITO), secondo la quale, se oggi oltre 10 milioni di italiani soffrono di un’allergia, tra meno di dieci anni questa cifra triplicherà. Nel 2025 infatti, secondo le previsioni dell’Aaiito, ad un italiano su due sarà diagnosticata una forma allergica; questa malattia diverrebbe quindi “la patologia cronica più diffusa del secolo”.
Ad un aumento della casistica non corrisponde però una equa disponibilità degli specialisti. Se guardassimo agli standard previsti dai Livelli essenziali di assistenza, ovvero le prestazioni e i servizi che il Servizio sanitario nazionale è tenuto a fornire a tutti i cittadini, dovremmo trovare una struttura complessa di allergologia per milione di abitanti.
In Italia siamo molto lontani da questa cifra. Innanzitutto la distribuzione degli specialisti sul territorio nazionale è piuttosto disomogenea. A questo si aggiunga che le stesse strutture di allergologia – universitarie, ospedaliere o territoriali che siano – sono in continua diminuzione. E allo stesso modo, sono in calo anche gli allergologi in regime di convenzione.
La soluzione proposta dall’Associazione è quella di creare un circuito di Reti cliniche integrate, in grado di effettuare un primo inquadramento diagnostico (presso ambulatori territoriali specialistici di primo livello) e di filtrare i pazienti da indirizzare agli ospedali di secondo livello (per trattare i sintomi più gravi).
Resta da affrontare il nodo del reperimento dei fondi per la costituzione delle suddette Reti e soprattutto per la formazione di giovani allergologi per far fronte alla loro attuale carenza.
Non dimentichiamo infatti che allo stato attuale, le allergie respiratorie e le loro complicazioni pesano sul budget della sanità e su quello del Paese Italia per 74 miliardi di euro: un 72% per sostenere i costi diretti (farmaci e ricoveri) e il rimanente 28% per quelli indiretti (come la perdita di produttività).